150 anni dalla morte di Alessandro Manzoni
24 aprile. Alessandro Manzoni inizia la stesura del Fermo e Lucia: prima redazione, rimasta manoscritta, dei Promessi sposi (le date apposte sull’autografo la collocano fra il 24 aprile 1821 e il 17 settembre 1823). Questa iniziale fase “eclettica” del romanzo lasciò insoddisfatto Manzoni, che ne descrisse la lingua come un composto indigesto di frasi un po’ lombarde, un po’ toscane, un po’ francesi, un po’ anche latine; di frasi che non appartengono a nessuna di queste categorie, ma sono cavate per analogia e per estensione o dall’una o dall’altra di esse. Insomma, affermava, scrivo male. La ricerca di una lingua espressiva ma non affettata si presentava difficoltosa per Manzoni, ancora stretto fra il dialetto milanese, il francese – la grande lingua di cultura alla quale, anche per la propria esperienza biografica e culturale, guarderà sempre come modello – e un toscano libresco inadatto a una prosa narrativa che riflettesse, nei dialoghi, la naturalezza comunicativa (essendo di fatto inesistente un comune italiano parlato). Così si spiegano, nel Fermo e Lucia, gli accostamenti innaturali di parole ed espressioni di varia provenienza, come in ‘Mi si è coperta la vista,’ rispose Fermo; un Toscano avrebbe detto: non vedo più lume, dove coprire la vista ricalca il milanese quatass la vista, e non veder lume corrisponde alla definizione che di quell’espressione dava il Vocabolario milanese-italiano di Francesco Cherubini (prima edizione 1814), tratta a sua volta dal Vocabolario della Crusca.
16 luglio. Allo stesso 1821 risalgono le odi Cinque maggio, composta in pochi giorni dopo aver appreso le circostanze della morte di Napoleone (16 luglio), e Marzo 1821, pubblicata però nel 1848. L’anno precedente (1820) era uscito Il Conte di Carmagnola; nel 1822 seguirà l’Adelchi. I quattro capolavori dimostrano come nella tragedia e nella poesia, a differenza che nella prosa, la lingua di Manzoni sia già arrivata a maturazione, potendo in questo caso innestarsi su una tradizione secolare.
Escono I promessi sposi in tre tomi (fra il 1824 e il 1827): è la prima edizione del romanzo, cosiddetta Ventisettana, completo rifacimento del Fermo e Lucia (di cui sono modificati o soppressi interi episodi). Il successo è immediato, ma Manzoni è ancora insoddisfatto. Nella lingua toscano-milanese (definizione di Manzoni stesso) della Ventisettana, alcune tracce settentrionali sono ancora evidenti. L’avvicinamento al toscano, confrontato con il milanese e il francese, era ancora il frutto di un’operazione libresca, condotta a tavolino soprattutto sui dizionari. Oltre al Cherubini, Manzoni compulsò la Crusca veronese. Le sue postille rivelano il fastidio per una lessicografia purista che non rispecchia l’uso corrente dei vocaboli. Si usa? – si legge in un appunto circa l’espressione avere misericordia in qualcuno – Come lo sapete? Perché il Cavalca l’ha usato una volta? E perché l’ha usato alla latina? Traducendo? È questa l’idea dell’Uso? Non lo era affatto per Manzoni, che matura un diverso concetto di uso, legato alla vitalità di una parola in una comunità di parlanti, secondo una prospettiva nettamente sincronica. Conseguentemente, la “risciacquatura dei panni in Arno”, ovvero il soggiorno a Firenze nello stesso 1827, lo indirizza verso una scelta definitiva: il fiorentino parlato dell’uso colto, lontano dalla varietà popolaresca. Questo non solo dovrà diventare modello linguistico per il romanzo, ma dovrà anche indicare la via per la definitiva unificazione linguistica dell’Italia. Comincerà ora per Manzoni un decennio di revisione linguistica e stilistica dei Promessi sposi in direzione del fiorentino vivo. Gli saranno d’aiuto amici e conoscenti fiorentini interpellati per via epistolare sulla correttezza e vitalità di parole e modi di dire.
Dopo la Ventisettana e la “risciacquatura dei panni in Arno”, Manzoni pubblica la seconda edizione dei Promessi sposi, cosiddetta Quarantana, frutto di una revisione sistematica della lingua e dello stile del romanzo. Sono eliminati i lombardismi ancora presenti nell’edizione del 1827 (tosa > ragazza) e vengono introdotte forme, parole, espressioni del fiorentino dell’uso vivo (guance > gote, burlare > far celia). Fra questi tratti, la riduzione dei dittonghi dopo palatale (gioco, libricciolo, spagnolo) si è affermata in italiano, mentre in altri casi (frastono, move, riscotere) è rimasta tipica del fiorentino. Risulta decisivo per l’uso italiano successivo anche il passaggio negli imperfetti di prima persona da –a a –o (avevo). In caso di forme oscillanti, Manzoni uniforma verso un’unica scelta (domandare / dimandare > domandare). In generale, il tono si fa più naturale e vicino alla lingua corrente, sia attraverso la sostituzione di singole forme – come cangiando > cambiando, veggio > vedo e altre; egli e ella sono per lo più soppressi come pronomi di ripresa oppure sostituiti da lui e lei – sia grazie alla riformulazione di brani più o meno lunghi in una sintassi più sciolta. Dalla descrizione dell’Innominato: la canizie dei pochi capegli che gli rimanevano, e le rughe del volto, l’avrebbero fatto stimare d’una età assai più inoltrata dei sessant’anni che aveva appena varcati > bianchi i pochi capelli che gli rimanevano; rugosa la faccia: a prima vista, gli si sarebbe dato più de’ sessant’anni che aveva (cap. xx). Uno dei tratti più notevoli del romanzo, presente fin dalle redazioni iniziali ma perfezionato nella Quarantana, è la resa vivace del parlato nei dialoghi – ‘E poi, e poi, e poi…’ ‘E poi che cosa?’ ‘E poi c’è degli imbrogli’ (cap. ii) – e la scorrevolezza con cui ricorrono costrutti quali le dislocazioni a destra (Ma non le ha già fatte queste ricerche? – cap. ii) o sinistra (La bocca l’abbiamo anche noi – cap. xvi), non esclusivamente nelle parti dialogiche (L’uomo onesto in faccia al malvagio, piace […] immaginarselo con la fronte alta – cap. v). Tutto ciò non esclude d’altronde il ricorso allo stile più elevato quando lo richieda il contesto: ne sono esempio i brani famosi dell’Addio, monti (cap. viii) o della madre di Cecilia (Scendeva dalla soglia d’uno di quegli usci… – cap. xxxiv).
L’eccellenza della Quarantana decretò il successo delle idee manzoniane: ma all’inizio – quasi per paradosso rispetto al pensiero di Manzoni – sarà un successo ancora legato alla lingua letteraria (per l’italiano parlato i tempi non erano ancora maturi). Fiorirono i romanzi di ispirazione manzoniana: fra i più famosi, Le avventure di Pinocchio di Carlo Lorenzini alias Collodi (1883) e Cuore di Edmondo De Amicis (1886), testi che, fornendo l’esempio di una lingua vivace e colloquiale, rimasero per generazioni nel canone della letteratura per l’infanzia e per la scuola. Collodi fu anche autore di una fortunata Grammatica di Giannettino per le scuole elementari (1883); quanto a De Amicis, il suo rapporto con le teorie manzoniane fu talvolta contradditorio. In seguito, ciò si rifletterà nell’Idioma gentile (1905), un manuale didattico arguto e vivace che incontrerà immediato successo, e che però sarà stroncato da Benedetto Croce sulla base dell’idea (formulata nell’Estetica come scienza dell’espressione e linguistica generale, 1902) per cui la lingua non è segno, ma è rappresentazione e creazione (dunque non può essere insegnata come modello immutabile).
Cento date per ripercorrere la storia della nostra lingua: dal Placito capuano alle trasformazioni socioculturali degli ultimi decenni; da Dante Alighieri e i grandi autori della nostra letteratura agli usi dei parlanti e degli scriventi comuni, di tutte le regioni d’Italia; senza dimenticare la lingua della scienza e della tecnica, del cibo, dell’arte e della musica, grazie alle quali l’italiano si è diffuso anche all’estero.
Fiammetta Papi insegna Linguistica italiana all’Università di Siena. Dopo il perfezionamento alla Scuola Normale Superiore, è stata assegnista di ricerca alla stessa Scuola Normale e all’Università per Stranieri di Siena. Postdoctoral Fellow al Warburg Institute di Londra, ha successivamente collaborato al Vocabolario Dantesco (Accademia della Crusca-CNR Opera del Vocabolario Italiano). Ha pubblicato l’edizione critica con commento linguistico del Livro del governamento dei re e dei principi (2 voll., 2016-2018), e saggi di filologia e storia della lingua italiana.
★★★★★ «Fiammetta Papi ha scritto un gran bel libro: ricco di informazioni, tutte criticamente vagliate, e di gradevole lettura. Le date, se le sappiamo scegliere e interrogare, possono dirci molto sulle vicende degli esseri umani e delle loro lingue».
Dalla prefazione di Luca Serianni
★★★★★ «È proprio questa competenza alta e insieme esplicativa, è proprio questo sguardo a innervare il sottosuolo carsico d’ogni pagina di questa cronologia linguistica di Fiammetta Papi».
Simone Pregnolato, TRECCANI
★★★★★ «Una serie di brevi capitoli, serissimi ma accattivanti, sui momenti e sulle questioni principali che hanno fatto la storia della lingua italiana».
Andrea Canova
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