ADDIO A SERGIO STAINO, ANIMA INQUIETA DELLA SINISTRA MARXISTA
Bobo è rimasto lo stesso, identico. Nel suo mondo tutto è uguale, le stanze e chi le frequenta. Ilaria è ancora una bambina con l’aria stralunata e i capelli lunghi, lui ha la stessa barba di quarant’anni fa, gli occhialetti tondi fuori moda, le maniche della camicia arrotolate e quell’aria paffuta che lo rende perfettamente compatibile con le tavolate da salsiccia alla griglia della festa dell’Unità, o con le serate casalinghe in poltrona a leggere un giornale o a guardare la tv.
Bobo è la sinistra di partito, un solo partito, il PCI, declinato in tutte le sigle successive: PDS, DS, PD. I suoi mugugni, i dubbi e le incertezze hanno attraversato la storia di quella sinistra, a volte anche un po’ più a sinistra, adesso un po’ dalla parte di Renzi.
Bobo è di quelli che vorrebbero tanto identificarsi in una bandiera, riconoscersi nel guscio di un’ideologia indossata nella militanza quotidiana, ma è disallineato per natura, è di quelli che avvertono lo scricchiolio del disagio nel vedere le cose diverse da come le vede il coro. Magari di poco, di quel poco che basta ad avvertire lo scarto fra sé stessi e il mondo.
Bobo è un pensiero libero e inquieto, per questo è stato dalla parte di Togliatti, di Ingrao, di Berlinguer, di Occhetto, di D’Alema, di Veltroni, di Renzi, senza mai essere di Togliatti, di Ingrao, di Berlinguer, di Occhetto, di D’Alema, di Veltroni e di Renzi.
Ha visto nel ’68 la rivoluzione e un mondo migliore imminente, a un passo, ma poi ha dovuto fare i conti con tutto quello che è successo dopo, la strategia della tensione, le bombe sui treni, piazza Fontana, gli anni di piombo, la fine degli anni di piombo, la fine del comunismo e il crollo del muro di Berlino. Si è fatto mille domande dentro la sua casa sulle colline di Scandicci e non sempre ha trovato delle risposte.
Bobo non ha un cognome, ha soltanto un nome da portare a spasso e anche questo significa un’identità diffusa, un qualcosa di comune a tanti. La sua visione del mondo e della politica lo ha condotto a mille spaesamenti, fughe da fermo e ritorni disciplinati e quasi sempre un po’ sconfitti. Bobo è il ceto medio silenzioso a cui Sergio Staino un giorno ha dato voce – la sua –, corpo e fa- miglia – la sua. Da allora è entrato nelle nostre case, attraverso la finestra della prima pagina dell’Unità o dai fogli di Linus, o dal Venerdì o dall’Espresso, o da altre testate in cui è comparso questo personaggio che, come ha scritto un giorno lontano Antonio Tabucchi, è «un po’ Keaton, un po’ Chaplin». Un po’ tutti noi, pieni di buone intenzioni che guardiamo dal basso chi sta in alto. Sergio Staino è Bobo, non si può raccontare Bobo se non attraverso la vita, gli incontri e le passioni del suo disegnatore.
Laura Montanari e Fabio Galati
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Confessione a cuore aperto di Sergio Staino.
Sergio Staino – grande narratore del costume del Bel Paese – ci parla del suo alter ego Bobo, dell’infanzia con il babbo carabiniere e della vita con la sua Bibi, con la quale fu subito amore a prima vista. Con ironia e leggerezza, Staino racconta la sua esperienza con la sinistra italiana: dalla storica vignetta in cui si finse Forattini all’arrivo di Matteo Renzi, passando per i marxisti-leninisti, da cui fu liberato grazie a una storia d’amore.
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