Addio ad Antonio La Penna, insigne latinista e filologo classico

Martedì 9 aprile si è spento all’età di novantanove anni, nella sua casa sui colli fiorentini, uno dei più grandi studiosi del mondo classico. Antonio La Penna ha trasmesso la passione per la cultura e per il mondo antico a tutti coloro che si sono avvicinati alla letteratura latina e alla storiografia nel corso degli ultimi cinquant’anni. Noi l’abbiamo conosciuto nel 2018, quando ci siamo recati da lui con il professor Arnaldo Marcone per realizzare l’intervista che è poi uscita nel volume Io e l’antico. Ed è con le parole di Arnaldo Marcone che vogliamo ricordarlo oggi, riproponendo ai nostri lettori la conversazione tra l’Allievo e il Maestro che si è svolta in un pomeriggio autunnale di sole nella villa al Sodo, piena di libri e dei ricordi di una vita.

«Antonio La Penna è una delle più eminenti figure di studioso del mondo classico a livello nazionale e internazionale della seconda metà del XX secolo e dei primi decenni del XXI. Nato a Bisaccia, in provincia di Avellino, nel 1925, si è formato alla Scuola Normale Superiore di Pisa con Giorgio Pasquali tra il 1941 e il 1945. Dopo cinque anni di insegnamento nei licei, è stato docente universitario di letteratura latina nelle università di Pisa e di Firenze dal 1956 al 2000 e ha insegnato filologia classica alla Scuola Normale di Pisa dal 1964 al 1993. Nel 1987 ha ricevuto il premio Feltrinelli per la storia e la critica della letteratura. Dal 2002 è socio nazionale dell’Accademia dei Lincei.

La Penna è autore di oltre seicento pubblicazioni che riguardano la letteratura latina e greca, la storia antica, la letteratura italiana e le principali letterature moderne così come la storia del pensiero, della cultura, la fortuna dell’antico nel mondo moderno. Il suo nome è legato in particolare a monografie e a contributi su Orazio, Sallustio, Properzio e Virgilio. Il suo ultimo libro, su Ovidio, è stato pubblicato all’inizio del 2018. Dell’attenzione riservata da La Penna ai problemi della scuola sono testimonianza i numerosi, appassionati scritti da lui dedicati all’insegnamento liceale e alla legislazione universitaria.

Almeno due generazioni di allievi, alcuni dei quali a loro volta docenti in varie università italiane, lo riconoscono come Maestro avendone apprezzato il rigore intellettuale e l’intransigenza morale. Ma Maestro La Penna è riconosciuto anche da tutti coloro che si sono avvicinati alla letteratura e alla storiografia latina negli ultimi cinquant’anni.

Antonio La Penna e Arnaldo Marcone (ottobre 2018) © Archivio Della Porta

È con un sentimento di emozione che ho accettato la proposta dell’amico Ettore Cinnella di condurre una conversazione con Antonio La Penna, la cui personalità di studioso è tale da richiedere competenze ben superiori alle mie. Antonio La Penna fu mio docente di latino alla Scuola Normale di Pisa tra il 1973 e il 1977. Con lui ho avuto poi rapporti costanti, benché io mi sia dedicato allo studio della storia antica, anche perché, per alcuni anni agli inizi della mia carriera, ho svolto la mia attività di ricercatore a Firenze dove lui insegnava. Successivamente i miei rapporti con lui furono comunque sempre intensi, propiziati da alcuni amici che erano stati suoi allievi diretti, in primo luogo Emanuele Narducci. È questo rapporto personale che credo possa giustificare una scelta che può apparire imprudente.

Il ritratto che emerge da queste pagine ha dunque alla sua origine un’esperienza diretta dello Studioso e molti ricordi personali. Si potrebbe dire che è una “conversazione” che dura da oltre quarant’anni e il cui esito si spera possa suscitare l’interesse di quanti hanno piacere di conoscere più da vicino un protagonista della vita culturale italiana della seconda metà del XX secolo e dei primi decenni del XXI.

Per cominciare vorrei considerare il luogo in cui ci troviamo, in questa bella villa sui colli fiorentini non lontano da Careggi. Non Le nascondo, pro­fessore, che questa località, il Sodo, in un contesto così ameno ma anche alquanto isolato rispetto a Firenze, suscitava in noi scolari una certa forma di soggezione. Io mi ricordo che se ne parlava tra noi con un misto di curiosità e di ammirazione.

Quello che mi dice mi fa sorridere. Invero questa casa, a cui io e mia moglie siamo molto affeziona­ti, così come i nostri figli, è il risultato di una scelta precisa. Noi siamo stati a Scandicci sino al 1969. Mia moglie si impegnò con grande determinazio­ne a scegliere un luogo che fosse a un tempo vicino a Firenze e però in una zona collinare, tranquilla. Scelto il terreno, fu lei a fare il progetto. Credo che il nome della zona sia dovuto al fatto che si tratta di un’area asciutta in mezzo ad altre un tempo ac­quitrinose. Non a caso qui vicino ci sono due ville medicee, la Villa Reale di Castello e La Petraia. Il nome della via, dell’Osservatorio, è legato a una tor­retta fatta costruire da un sacerdote appassionato di astronomia. 

Voi vi sposaste nel 1954, se ricordo bene.

Sì, nel 1954 con Gennaro Perrotta come testimone. Ci conoscemmo alla Biblioteca Nazionale. Mia mo­glie, a dire il vero, che stava scrivendo la sua tesi con Roberto Longhi, in un primo tempo mi scambiò per un bibliotecario.

Posso chiederLe, se può dirmelo, che ruolo ha avu­to questa villa nell’elaborazione dei Suoi numerosi lavori?

Non saprei dare una risposta soddisfacente. Ve­ro è che l’Orazio e il Sallustio risalgono a un’epoca precedente. Certamente in questa casa, in queste stanze che lei vede piene di libri e con carte dis­seminate un po’ ovunque, ho trovato la pace e la concentrazione necessaria per scrivere, soprattut­to nei periodi in cui non ero impegnato con l’uni­versità.

Tratto da Antonio La Penna, Io e lantico. Conversazione con Arnaldo Marcone, pp. 15-16. 

Il libro

Io e l’antico

Dalle pagine di questo libro emerge il ritratto di uno dei più grandi studiosi contemporanei del mondo classico.

Conversando con Arnaldo Marcone, che è stato suo allievo alla Scuola Normale Superiore di Pisa, Antonio La Penna ripercorre le tappe fondamentali della sua biografia, attingendo ai molti ricordi personali. Dal racconto viene fuori il singolare percorso intellettuale di un ragazzo del Sud il quale, dopo gli studi liceali ad Avellino, giunge sedicenne a Pisa alla Scuola Normale, dove si compie la sua formazione di filologo classico e di studioso di letteratura latina. L’allievo e il maestro proseguono il dialogo cominciato quarant’anni fa, toccando temi a loro cari: la letteratura latina e greca, la storia antica, la storia della cultura e le letterature moderne. Sullo sfondo resta, viva e aperta, la questione del posto che l’antico può ancora avere nel mondo di oggi.