LA LINGUA DELLA COMMEDIA DI DANTE

Il Dante padre della lingua è il Dante della Commedia, con la quale ha portato il volgare a essere maturo al punto da poter descrivere ogni piega dell’animo e rappresentare qualsiasi situazione, dalla bassezza infernale al sublime paradisiaco. Sia nello stile “comico” dell’Inferno sia in quello tragico del Paradiso, Dante ricorre a tutte le gradazioni possibili dell’escursione fonica, morfologica, lessicale, sintattica, ritmica. È una scelta consapevole che si suole riassumere nelle categorie di pluristilismo e plurilinguismo (Contini).

La lingua della Commedia si adatta alla varietà dei toni e degli argomenti percorsa nei canti, dalla crudezza delle scene rappresentate nei cerchi dei dannati – esemplari canti come Inf. XXI-XXII (i barattieri) o XXX (i falsari), che sfruttano anche rime espressive (graffi : raffi : accaffi o Gianni Schicchi : ficchi : spicchi) e l’onomastica parlante (i nomi dei diavoli Barbariccia, Cagnazzo, Calcabrina, Ciriatto, Draghignazzo, Farfarello, Graffiacane, Libicocco, Malacoda, Rubicante, Scarmiglione, oltre al tradizionale Alichino) – all’elevatezza della materia trattata nei cieli dei beati, con sviluppi dottrinari che talvolta occupano interi canti (Par. II, XXVIII, e altri), culminante nella massima astrazione dell’indicibile visione di Dio: Qual è ’l geomètra che tutto s’affige / per misurar lo cerchio, e non ritrova, / pensando, quel principio ond’elli indige, / tal era io a quella vista nova (Par. XXXIII 133-136).

Ma non mancano contaminazioni fra gli stili. Dante tocca l’espressionismo più vistoso non solo nel basso Inferno, dove arriva al turpiloquio (cul, merda, puttana) ma, occasionalmente, anche in Paradiso: Quelli ch’usurpa in terra il luogo mio, inveisce san Pietro in Par. XXVII 24-26, fatt’ha del cimitero mio cloaca / del sangue e de la puzza. Viceversa, lo stile sublime può ricorrere anche nell’Inferno, dominando in episodi celebri come quelli di Paolo e Francesca (Amor, ch’al cor gentil ratto s’apprende…Inf. v 100) o di Ulisse (Considerate la vostra semenza: / fatti non foste a viver come bruti, / ma per seguir virtute e canoscenzaInf. XXVI 118-120).

La ricchezza linguistica della Commedia comprende un patrimonio di latinismi, molti mai attestati prima di Dante, preponderanti nel Paradiso (dal solo canto XXVIII, dedicato alla prima visione di Dio: circumcinto, consequenza, templo, miro ‘mirabile’, arto ‘stretto’, igne ‘fuoco’, vimi ‘legami’, angelici ludi ‘angeli festanti’, ecc.) ma ben diffusi anche nelle altre due cantiche. Latinismi e tecnicismi provengono dalle discipline più varie, completando l’ampliamento del lessico scientifico volgare già iniziato nel Convivio: astronomia (orbita), etica (ipocrisia, probità), filosofia (contingenza, contingente), medicina (idropesì), musica (alternare) e così via.

Il latino fa da tramite anche per grecismi, come alo ‘corona luminosa che circonda un astro’ o perizoma (letteralmente la ‘veste corta che cinge i fianchi’, quindi per estensione la ripa del pozzo dei Giganti, che li copre dalla vita in giù); ebraismi, come Serafi e Cherubi (Serafini e Cherubini); arabismi (alchimia, nuca o cenìt ‘zenit’).

Nel plurilinguismo dantesco rientrano infine francesismi, come accismare (propriamente ‘abbellire’, in senso ironico ‘conciare, straziare’), avvantaggio ‘condizione di superiorità ed eccellenza, perfezione’, gorgiera (propriamente ‘parte dell’armatura che riveste il collo’, per metonimia ‘gola’) o gaetto ‘screziato’ (in Inf. I 42, la lonzala fiera a la gaetta pelle, probabilmente dal provenzale caiet); germanismi, come raffio ‘uncino’, rosta ‘intrico di arbusti, fronde e sterpaglie’ o tresca (propriamente ‘ballo frenetico’, per estensione ‘movimento concitato’); dialettismi: bolognese sipa ‘sì’, sardo donno ‘signore’, settentrionale veggia ‘botte’, ecc. Senza dimenticare gli inserti alloglotti: il latino di Cacciaguida (O sanguis meus, o superinfusa / gratia Dei…Par. XV 28-30), il provenzale di Arnaut Daniel (Tan m’abellis vostre cortes deman…Purg. XXVI 140-147), fino alle parlate incomprensibili di Pluto (Pape Satàn, pape Satàn aleppe!Inf. VII 1) o di Nembrot, probabilmente echeggiante l’ebraico (Raphèl maì amècche zabì almi – Inf. XXXI 67).

Quando la materia cantata sfida la lingua che sembra non avere risorse per rappresentarla, supplisce Dante stesso con la sua straordinaria creatività: almeno un centinaio sono i neologismi coniati dal poeta: inmiarsi e intuarsi ‘penetrare in me/in te, cioè nei miei/tuoi pensieri e sentimenti’ (s’io m’intuassi come tu t’inmii, in Par. IX 81); imparadisare ‘innalzare in Paradiso’ (Beatrice è quella che ’mparadisa la mia mente in Par. XXVIII 3); trasumanare ‘superare i limiti dell’umano’, con cui Dante descrive la condizione, di per sé indicibile, dell’esperienza paradisiaca: Trasumanar significar per verba / non si poria (Par. I 70).

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