La storia del conflitto israelo-palestinese
La Palestina prima del 1948
La Gran Bretagna prese il controllo dell’area conosciuta come Palestina dopo la sconfitta dell’Impero Ottomano nella Prima Guerra Mondiale. La regione era abitata da una minoranza ebraica e da una maggioranza araba, così come da altri gruppi etnici di minore entità. La politica tollerante da parte dell’Impero Ottomano aveva portato a una crescita della popolazione ebraica, che all’epoca contava all’incirca 85.000 coloni. Molti erano arrivati dalla Russia zarista in seguito alle persecuzioni (i cosiddetti pogrom) portate avanti contro i cittadini ebrei.
La tensione tra i due popoli crebbe quando la comunità internazionale diede al Regno Unito il compito di istituire in Palestina una «sede nazionale» per il popolo ebraico. Questo progetto nasceva dalla Dichiarazione Balfour del 1917, un impegno preso dall’allora ministro degli Esteri Arthur Balfour con la comunità ebraica britannica. La dichiarazione fu sancita con il mandato britannico sulla Palestina e approvata dalla neonata Società delle Nazioni nel 1922.
Fu così legittimata l’immigrazione ebraica, e con essa si ebbero i primi scontri con i residenti arabi. Per gli ebrei la Palestina rappresentava la loro casa ancestrale, ma anche gli arabi palestinesi rivendicavano l’appartenenza a quella terra opponendosi al trasferimento dei nuovi arrivati.
Tra gli anni Venti e Quaranta, numerosi ebrei si trasferirono in Palestina, molti dei quali fuggivano dalle persecuzioni in Europa, in particolare dal terrore nazista. Nel 1945 si contavano in Palestina 550.000 ebrei e 1.250.000 arabi. Contestualmente, aumentò anche la tensione tra ebrei e arabi, insieme alle proteste contro il dominio britannico.
Nel 1947 l’ONU votò per la divisione della Palestina in due stati separati, ebraico e arabo, e per la trasformazione di Gerusalemme in una città internazionale. Il piano fu accettato dai leader ebrei ma rifiutato dalla parte araba e mai attuato.
La nascita dello Stato di Israele (14 maggio 1948)
Constatata l’impossibilità di formare uno Stato binazionale, nel 1948 la Gran Bretagna ritirò le sue truppe dalla Palestina, rimettendo alle Nazioni Unite il compito di trovare una soluzione. Il 14 maggio 1948 i leader ebrei proclamarono la nascita dello Stato di Israele, che doveva servire da rifugio sicuro per gli ebrei in fuga dalle persecuzioni, nonché come patria nazionale per l’intero popolo. Per guidare il nuovo Stato fu scelto David Ben-Gurion, che resterà Primo ministro – con una breve interruzione (1953–1955) – fino al 1963. Il nuovo Stato fu subito riconosciuto da USA e URSS.
Gli Stati della Lega Araba (Egitto, Transgiordania, Siria, Libano e Iraq) reagirono attaccando militarmente il neonato Stato di Israele. Centinaia di migliaia di palestinesi fuggirono o furono costretti a lasciare le loro case in quella che essi chiamano al-Nakba, la «Catastrofe». Quando gli scontri cessarono, all’inizio dell’anno successivo (gennaio 1949), Israele controllava ormai la maggior parte del territorio, occupando anche la parte occidentale di Gerusalemme. La Giordania occupò il territorio che divenne noto come Cisgiordania, mentre l’Egitto occupò Gaza. Gerusalemme era divisa tra le forze israeliane a ovest e le forze giordane a est.
Poiché non fu mai raggiunto un accordo di pace, nei decenni successivi vi furono numerose guerre e combattimenti. Nella guerra del 1967, in sei giorni Israele prese il controllo della Penisola del Sinai, della Striscia di Gaza, della Cisgiordania, dell’altopiano del Golan e della parte orientale di Gerusalemme, a maggioranza palestinese.
Negli ultimi cinquant’anni Israele ha costruito insediamenti in Cisgiordania e a Gerusalemme Est, dove ora vivono più di 700.000 ebrei. Gli insediamenti sono considerati illegali secondo il diritto internazionale. Questa è la posizione, tra gli altri, del Consiglio di Sicurezza dell’ONU e del governo del Regno Unito.
I colloqui di pace israelo-palestinesi
I colloqui di pace israelo-palestinesi si sono svolti a fasi alterne tra gli anni Novanta e il 2010, intervallati da scoppi di violenza. Nel giugno 1992, dopo quasi vent’anni di governo del Fronte nazionalista (Likud), vinse le elezioni in Israele il Partito laburista di Yitzhak Rabin, che bloccò i nuovi insediamenti ebraici nei territori occupati, mostrandosi più disposto dei suoi predecessori a concessioni territoriali in cambio di pace. Rabin e il ministro degli Esteri Shimon Peres decisero anche di trattare direttamente con l’OLP (l’Organizzazione per la Liberazione della Palestina) di Yasser Arafat, rimuovendo così il principale ostacolo che si opponeva all’avvio di negoziati.
Una serie di incontri segreti in Norvegia diede avvio al processo di pace di Oslo, che si concluse con la celebre cerimonia alla Casa Bianca (13 settembre 1993) presieduta dal presidente Bill Clinton. In un momento di importanza storica, i palestinesi riconobbero lo Stato di Israele e vi fu un primo accordo fondato sull’avvio di un graduale autogoverno palestinese nei territori occupati, a partire dalla città di Gerico in Cisgiordania e dalla Striscia di Gaza.
Ben presto, però, si verificarono delle crepe, con l’allora leader dell’opposizione Benjamin Netanyahu che definì Oslo una minaccia mortale per Israele. Il gruppo militante palestinese Hamas, dal canto suo, ricorse all’invio di attentatori suicidi in Israele con lo scopo di distruggere qualsiasi possibilità di un accordo. L’attività terroristica promossa da Hamas fece numerose vittime in Israele, acuendone al contempo il senso di insicurezza. Anche l’atteggiamento della Siria di Hafez el Assad e di altri Stati mediorientali come la Libia e l’Iran si rivelò ostile verso le nuove prospettive negoziali. Il 4 novembre 1995 il primo ministro israeliano Yitzhak Rabin fu assassinato a Tel Aviv da un giovane estremista israeliano.
Negli anni Duemila furono fatti diversi tentativi per rilanciare il processo di pace, a partire dai colloqui di Camp David nell’estate del 2000, ma gli sforzi si arrestarono nel 2014, quando i colloqui tra israeliani e palestinesi a Washington non diedero alcun esito positivo. Il piano di pace più recente – preparato dagli Stati Uniti durante la presidenza di Donald Trump – è stato definito «l’accordo del secolo» dal primo ministro Netanyahu ma, liquidato dai palestinesi come unilaterale, non è mai decollato.
La Striscia di Gaza
Gaza è una stretta striscia di terra situata tra Israele e il Mar Mediterraneo, con un corto confine meridionale con l’Egitto. Lunga appena 41 km e larga 10 km, conta più di due milioni di abitanti ed è uno dei luoghi più densamente popolati della Terra. Dopo la guerra del 1948-1949, Gaza fu occupata dall’Egitto per 19 anni.
Israele occupò Gaza nella guerra del 1967 e vi rimase fino al 2005, periodo durante il quale vi costruì nuovi insediamenti di coloni ebrei. Nel 2005, di sua iniziativa, Israele ha ritirato le sue truppe e i suoi coloni da Gaza, pur mantenendo il controllo sullo spazio aereo, sul confine condiviso e sulla costa.
Il 7 dicembre 2014 gli scrittori Amos Oz, David Grossman e Abraham Yehoshua hanno firmato un appello per il riconoscimento della Palestina, a cui si sono aggiunti altri 850 intellettuali. Nel testo si diceva: «Israele dovrebbe riconoscere lo Stato di Palestina e questo dovrebbe riconoscere a sua volta lo Stato di Israele basato sui confini del 4 giugno 1967». Nessun leader palestinese, tuttavia (ad eccezione di un’esigua minoranza), volle sottoscrivere la seconda parte di quell’appello, cioè l’impegno a riconoscere il diritto d’Israele a esistere.
Hamas e al-Fatah
Il Movimento islamico di resistenza (Harakat al-muqawama al-islāmiyya), più noto sotto l’acronimo Hamas, è stato fondato nel 1987, durante la prima Intifāda («Rivolta»), come braccio armato dei Fratelli Musulmani in Palestina. Negli anni il gruppo si è contrapposto sempre più all’organizzazione storica della Resistenza palestinese al-Fatah, contestandone il laicismo e proponendo la nascita di uno Stato palestinese islamico in sostituzione dello Stato d’Israele.
Al-Fatah, il partito più importante all’interno dell’Organizzazione per la liberazione della Palestina (OLP), fu creato da Yasser Arafat nel 1959 in Kuwait insieme a Mahmūd Abbās, conosciuto anche come Abu Mazen. Acronimo inverso di Harakat al-Tahrir al-Filistini (Movimento di liberazione palestinese), al-Fatah nel 1965 avviò la guerriglia contro Israele e, dopo il conflitto del 1967, assunse l’egemonia all’interno dell’OLP.
Dal 2000 al 2005, nella seconda Intifāda, Hamas ha promosso vari attentati suicidi, provocando numerose vittime in Israele.
Nel 2007 si consumerà la rottura tra i due movimenti: Hamas si imporrà nella striscia di Gaza, da poco evacuata dagli israeliani, mentre la Cisgiordania sarà controllata da al-Fatah. Da allora Hamas lancerà ripetuti attacchi contro Israele intervallati da svariate tregue.
Nel 2005 Israele aveva ritirato le proprie truppe dalla Striscia. Dopo l’insediamento al potere di Hamas, Israele decise nel 2007 di imporre un blocco a Gaza, che dura da allora e che limita la mobilità di persone e beni.
Hamas è considerata un’organizzazione terroristica da Israele, Stati Uniti, Unione Europea, Canada, Egitto e Giappone. Il più attivo sostenitore di Hamas è attualmente l’Iran, che da tempo fornisce finanziamenti, armi e addestramento ai combattenti del movimento.
Anche il Qatar ha legami con Hamas: il leader politico del movimento, Ismail Haniyeh, gestisce infatti l’organizzazione da Doha, dove attualmente risiede. Un altro alleato di Hamas nella lotta contro Israele, nonostante le differenze religiose e ideologiche dei due gruppi, è l’organizzazione militante sciita Hezbollah con sede in Libano.
I Fratelli Musulmani
I Fratelli Musulmani (al-ikhwān al-muslimīn) furono fondati in Egitto da Hasan al-Bānna nel 1928 per assistere le fasce più indigenti della popolazione egiziana e contrastare l’imitazione del modello occidentale propugnata dal governo.
I Fratelli Musulmani si erano poi politicizzati, puntando alla creazione di uno Stato islamico in opposizione alla monarchia filobritannica e al Wafd, il predominante partito d’ispirazione liberale. Cresciuti di numero e dotatisi di un braccio armato, avevano poi compiuto vari atti terroristici culminati, nel dicembre 1948, nell’uccisione del primo ministro egiziano Fahmī al-Nuqrāshī, ritenuto responsabile della pessima conduzione della guerra contro il neonato Stato di Israele, guerra a cui gli stessi Fratelli Musulmani avevano partecipato numerosi.
L’assassinio di al-Bānna non interromperà la crescita dell’organizzazione, che sarà tra le forze ispiratrici del colpo di Stato in Egitto che, il 25 luglio 1952, porterà al potere ‘Abd Jamāl al-Nāser. Con il nuovo regime – riformista, laico e autoritario – i rapporti con i Fratelli Musulmani si deterioreranno presto, tanto che, accusata di aver attentato alla vita dello stesso al-Nāser, nel 1954 l’organizzazione sarà disciolta e molti suoi militanti incarcerati e giustiziati. Perseguitati e in clandestinità, i Fratelli Musulmani si diffonderanno comunque in altri paesi arabi.
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