L’Ucraina in 100 date. Intervista a Giulia Lami

Professoressa quando e perché è sorto il suo interesse di studio per le vicende storiche e per la cultura dell’Ucraina?

Occupandomi di Storia dell’Europa orientale ho subito sviluppato, grazie alla mia tesi di laurea sulla rivoluzione del 1905 in Russia e poi grazie a una borsa di studio del Ministero degli Affari esteri in URSS, un interesse specifico fin dai primi anni ’80, per la Russia imperiale fra ‘800 e ‘900, soprattutto a livello delle sue dinamiche interne, dei movimenti rivoluzionari dell’Ottocento e delle loro dottrine e pratiche. Proseguendo nei miei studi, soprattutto a partire dal mio lavoro come ricercatrice presso l’Università Statale di Milano, mi sono resa conto che anche la storia imperiale russa era da comprendere nel più vasto contesto europeo, prendendo in considerazione tutta l’area orientale, Polonia e Ucraina comprese. 


Ho quindi soggiornato in quei paesi, seguito corsi di lingua, che mi hanno reso possibile capire più a fondo il loro difficile percorso storico. Il caso dell’Ucraina, che non esisteva come tale nell’Ottocento, perché le terre ucraine erano divise fra Austria-Ungheria e Russia, mi ha particolarmente interessato e ho voluto risalire all’origine della cosiddetta “questione ucraina”, per vedere quali ne erano le radici, che risalivano a ben prima dell’età moderna. Ho constatato così che in Italia non vi era quasi nulla sull’Ucraina, nonostante questo paese fosse indipendente dal 1991, e che era necessario dotare i miei studenti di un profilo del Paese e della sua storia: ne sono nati due libri, La questione ucraina fra ‘800 e ‘900 e Ucraina 1921-1956, che credo abbiano colmato una prima lacuna, ma molto resta da fare per aumentare le conoscenze su questo Paese. Se prima la mia era un’esigenza didattica, ora mi rendo sempre più conto che è un’urgenza culturale e politica di fondamentale importanza.

Nell’introduzione del libro accenna ad un’esperienza personale particolarmente interessante: ci dica qualcosa in più sul suo viaggio in Ucraina.

ph. Diana Vyshniakova

La mia conoscenza dell’Ucraina è iniziata a Kiev, come allora veniva prevalentemente chiamata perché in ucraino è giustamente Kyïv. Qui era difficile, agli inizi degli anni ’10 del Duemila, parlare ucraino al di fuori dei corsi di lingua perché era ancora molto diffuso l’uso del russo. Devo anche dire, per onestà, che forse i miei interlocutori, sentendo il mio accento russo, optavano automaticamente per parlarmi in quella lingua, ed è per questo che ho scelto di ripetere l’esperienza dei corsi di lingua a Leopoli, L’viv, dove mi si diceva che fosse molto più usuale sentire risuonare l’ucraino per le strade. E qui ho provato il desiderio, dopo Kyïv e Odessa, di conoscere altre città, questa volta dell’Ucraina occidentale, fra Galizia e Transcarpazia. Allora non esisteva un’industria turistica vera e propria, l’unica formula possibile era quella del pellegrinaggio religioso di chiesa in chiesa, di monastero in monastero, aggregandosi a gruppi di pellegrini. 

Se devo dire che cosa mi resta di più caro di quel viaggio, soprattutto nel tratto da Leopoli a Užhorod, è il fatto che su quei pullman di cosiddetti “pellegrini” vi erano donne che si definivano ucraine, che vivevano in Italia e che usavano quella modalità per conoscere a loro volta e far conoscere a figli e nipoti la loro cultura, il loro paese: alcune erano di lingua russa, altre di lingua ucraina, alcune ortodosse, altre greco-cattoliche, alcune venivano da regioni limitrofe, polacche, romene, moldave, ungheresi, ma tutte andavano d’accordo, parlavano come capitava ora una ora un’altra lingua e mi dicevano «vede adesso che abbiamo un po’ di soldi e di libertà ci piace vedere i nostri luoghi sacri, come voi andate a vedere i Duomi e le Abbazie, e fra gli uni e le altre v’incantate del vostro bel Paese. Anche il nostro lo è, ma è stato tanto disgraziato».

Le quotidiane notizie sull’aggressione della Russia all’Ucraina hanno imposto all’opinione pubblica italiana l’attenzione per un paese che ha mostrato una grande capacità di resistenza. A questo proposito, vorremmo sapere da lei qual è stato il suo intento nello scrivere L’Ucraina in 100 date. Perché ha deciso di ripercorrere la storia dell’Ucraina dai tempi più antichi fino alle vicende più recenti?

Ancora una volta, dopo più di vent’anni, ho sentito il bisogno di colmare un deficit di conoscenza sull’Ucraina, ma soprattutto sul suo tormentato percorso storico, per mostrare come è arrivata ad essere l’Ucraina di oggi, composita, complessa, differente in tante sue parti, ma unita, esistente come Stato sovrano e resistente come Paese aggredito, di cui si nega ancora una volta il diritto e la libertà di essere.

In che modo la chiara e dettagliata esposizione delle vicende passate dell’Ucraina, che leggiamo nel suo libro, può aiutarci a comprendere meglio le radici dell’attuale guerra?

Per ciò che dicevo sopra, per capire bisogna conoscere. Il mio è solo un piccolo contributo in quadro molto vasto, ma come ho detto nell’introduzione al libro credo che percorrendo le 100 date il lettore potrà giudicare se e quanto l’indipendenza proclamata nel 1991 sia nata dal nulla o non abbia una sua profonda ragion d’essere, come succede, ed è sem­pre successo, in ogni processo di co­struzione di una nazione. Confido che emerga lo sforzo che l’Ucraina ha compiuto per emanciparsi da un passato pieno di contraddizioni e di pagine controverse, cercando di attuare una transizione al post-comunismo di segno democratico, senza avere mai avuto il privile­gio, come altri paesi occidentali, di aver goduto nella sua storia di un periodo di vita democratica di una qual­che durata in un quadro di pace o, almeno, in assenza di dirette minacce alla sua esistenza.

ph. Gayatri Malhotra

Il 26 novembre cade l’anniversario dello Holodomor. Perché è importante commemorare questo tragico evento?

Lo Holodomor fu uno sterminio per fame che colpì i contadini dell’Ucraina sovietica nel 1932-1933. Non fu, come molti dicono, solo una sfortunata ricaduta della collettivizzazione delle campagne sovietiche, ma precisamente la forma che questa prese in Ucraina. Requisizione di tutti i beni alimentari, divieto di lasciare la campagna, sorveglianza armata fuori dai villaggi e nelle stazioni, chiusura dei confini del Paese. In pratica, morte per fame di milioni di contadini. Il ruolo attivo dello Stato-partito è innegabile ed è questo che fa la differenza fra “carestia” e “holodomor”. È uno dei grandi crimini sovietici e, quando è stato possibile parlarne, la rabbia e il lutto per ciò che era accaduto sono emerse e hanno determinato una presa di coscienza di ciò che un’intera generazione ha subito, senza potersi difendere. È anche per questo che l’Ucraina, in gran parte, non rimpiange il passato sovietico, ma guarda oltre, verso l’Europa, verso il resto del mondo, senza rimpianti.

Un’ultima domanda. A chi consiglierebbe la lettura di questo libro?

Posso dire che è un libro per tutti; dedicato a tutti coloro, e sono la maggioranza, che non si fermano alla superficie delle cose, ma vogliono avere maggiori informazioni, per farsi una propria opinione beninteso, ma con un filo d’Arianna che li guidi in un percorso che renda più chiaro quello che succede oggi. Siamo tutti dentro il flusso della storia…


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Il libro

L’Ucraina in 100 date. Dalla Rus’ di Kyïv ai nostri giorni

Attraverso cento date significative, Giulia Lami ricostruisce la storia dell’Ucraina dall’antichità fino al fatidico 24 febbraio 2022. Ne emerge un affresco storico che narra con ammirevole chiarezza le vicende degli Slavi orientali nei secoli IX-XIII, la storia della medievale Rus’ di Kyïv – la cui eredità è oggi rivendicata dalla Russia di Vladimir Putin –, l’appartenenza dell’Ucraina al Granducato di Lituania, la parziale unione con la Russia nel 1654, la nascita del sentimento nazionale ucraino nell’Ottocento, le vicende legate ai due conflitti mondiali, il periodo sovietico e l’indipendenza ottenuta nel 1991, fino agli avvenimenti più recenti con l’elezione di Volodymyr Zelens’kyj nel maggio del 2019 e l’aggressione russa nel 2022.

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